Negli ultimi mesi, sono stati pubblicati diversi articoli e report su quali saranno le keyword strategiche e i trend che riguarderanno le aziende di moda, lusso, cosmetica e lifestyle nel 2020. Dall’incertezza legata alla situazione politica ed economica mondiale all’emergere di nuovi comportamenti d’acquisto messi in atto dalle generazioni più giovani, passando per le novità in campo tecnologico, che impattano sia sulla produzione che sulla comunicazione dei brand, il settore si interroga su quali siano gli aspetti da tenere assolutamente in considerazione. Proviamo a fare il punto della situazione segnalando quelle che saranno per noi le 5 keyword strategiche per il 2020.
GENERAZIONE Z
Se ne parla già da qualche anno ma il 2020 vedrà l’ulteriore affermazione della Generazione Z, o Post-Millennials, gli individui nati tra la seconda metà degli anni ’90 e la fine degli anni 2000. Secondo uno studio di Altagamma e Bain & Company, questi consumatori, insieme ai Millennials, valgono già un terzo del mercato del lusso globale e entro il 2035 copriranno l’80% dei consumi. La Gen Z sembra, però, avere caratteristiche specifiche in termini valoriali e di comportamenti. Si tratta, infatti, della prima generazione davvero nativa digitale e tutte le previsioni indicano che si affiderà all’online per informarsi, sarà più altruista e attenta alle questioni sociali – dall’ambiente al rispetto dell’individuo – e crederà fortemente nella sharing economy. D’altro canto, in base a quanto riportato in una ricerca di McKinsey fatta sui consumatori US, al momento sembrano comunque ugualmente poco concreti nel realizzare i loro propositi, visto che solo 1 su 3 sarebbe disposto a pagare di più per prodotti che abbiano un minore impatto sull’ambiente. I brand dovranno, quindi, stare molto attenti a come si evolveranno le previsioni legate a questa nuova fascia di clientela e provare a conquistarne l’attenzione, adattando le loro strategie e tattiche di marketing e comunicazione.
SOSTENIBILITÀ
Il “climate change” è uno degli argomenti più caldi del momento, come dimostra la scelta del magazine Time di eleggere Greta Thunberg come personaggio dell’anno appena passato. Dalle manifestazioni in piazza che raccolgono milioni di giovani in tutto il mondo ai convegni internazionali dove si dibatte dei possibili interventi da attuare, l’impatto dell’uomo sul pianeta è diventato oggi un problema reale, da affrontare il prima possibile. La moda è da sempre tacciata di essere uno dei settori maggiormente inquinanti a livello mondiale. In un articolo di Business Insider, viene riportato che "l’industria del fashion produce il 10% delle emissioni di carbone dell’intera umanità, è seconda in termini di consumo delle risorse idriche mondiali e inquina gli oceani con le microplastiche”. I grandi brand hanno iniziato a dare il loro contributo significativo, lanciando progetti che li vedranno impegnati nei prossimi anni a ridurre sprechi ed emissioni, e le istituzioni ufficiali si fanno promotrici di iniziative capaci di portare questo tema sempre più al centro dell’attenzione, sia delle aziende che dei media. Basti pensare agli sforzi della Camera Nazionale della Moda Italiana, che organizza, da tre anni, la “International Roundtable on Sustainability”, per lo sviluppo di una conversazione globale in materia di sostenibilità tra gli attori del settore, ma anche i più mondani e mediatici “Green Carpet Fashion Awards”, diventati un appuntamento imperdibile delle fashion week internazionali.
La sfida nei prossimi anni è quella di far sì che la sostenibilità rientri realmente tra le keyword strategiche e diventi parte integrante del mind-set di aziende e consumatori e non si trasformi in una promessa non mantenuta a causa di un sistema che genera sempre nuovi sprechi. Avete mai pensato all’impatto dell’enorme quantità di imballaggi frutto del boom dei retailer online?
MEDIA
In dieci anni l’universo media ha subito una totale rivoluzione. Fenomeni come quelli dei social network e degli influencer hanno modificato gli equilibri nella comunicazione tra brand e consumatori. Si parla di “democratizzazione” della moda perché, grazie a web e social, le aziende si sono aperte al pubblico, permettendo l’accesso anche a contenuti e momenti un tempo esclusivi per gli addetti ai lavori, come le sfilate. Allo stesso tempo, chiunque può esprimere la propria opinione sull’operato dei brand, causando spesso crisi, anche rilevanti, che solo qualche anno fa non avrebbero avuto lo stesso impatto. I social media sembrano diventati il “Santo Graal” in termini di marketing e comunicazione e, in effetti, si sono guadagnati un ruolo significativo, visto che, come abbiamo potuto rilevare con la nostra analisi, nella SS20 hanno rappresentato il 58,2% dell’Earned Media Value totale raccolto dalle fashion week di New York, Londra, Milano e Parigi. Ma davvero ci si può affidare esclusivamente ai social network?Secondo quanto riportato da Business of Fashion nel suo “State of Fashion 2020”, l’engagement rate dei post sponsorizzati dagli influencer su Instagram è calato dal 4% del Q1 2016 al 2,4% del Q1 2019 e va ancora peggio per Facebook e Twitter, calati rispettivamente allo 0,37% e allo 0,05%. Sarà, quindi, interessante valutare gli sviluppi di questi cambiamenti, partendo dall’assunto che non esiste una regola d’oro ma che, tra le keyword strategiche ed essenziali, dovrebbe rientrare anche la parola "analisi". Uno studio serio e costante delle proprie attività sui media, possibilmente confrontate con quelle dei competitor, è l’unico strumento utile a massimizzare i propri investimenti in questo scenario così mutevole.
INCLUSIVITÀ
Forse anche a causa di vari scandali, il 2019 è stato l’anno che ha segnato una reale svolta in termini di “diversità”. Per anni, il settore ha assolto a questa richiesta in maniera soprattutto rappresentativa ma oggi, con le nuove generazioni di consumatori, contrarie alle imposizioni del sistema e maggiormente attente al rispetto della persona, inclusività sta diventando una delle keyword strategiche per poter affrontare al meglio i mercati. Nonostante il pensiero corra in prima battuta solo alle minoranze etniche, la questione è molto più ampia e multiforme e cambia, appunto, anche da regione a regione. Gli esperti spiegano che, nel Nord Europa, il problema si concretizza nella disparità di genere, mentre paesi come gli Stati Uniti e Il Regno Unito si focalizzano di più sulle origini etniche. Molte aziende hanno assunto manager incaricati di supervisionare le attività in questo ambito e hanno già adottato piani specifici per far sì che le loro organizzazioni siano inclusive a 360 gradi. Ma molto resta da fare. Ecco alcuni dati. Solo un terzo dei C-level delle aziende del settore è donna, ci sono solo pochi direttori creativi di colore alla guida di grandi brand e ancor meno manager di alto livello. Eppure, in base a diversi studi, le aziende considerate inclusive sembrano essere più profittevoli. Si tratta, quindi, di una sfida importante che, come per la sostenibilità, comporta un cambiamento radicale in termini di mentalità e che speriamo non si traduca in un’ulteriore promessa mancata.
PERSONALIZZAZIONE
Con l’ascesa di una generazione di consumatori che chiede sempre maggiore autenticità e trasparenza per sentirsi padrona delle proprie scelte, non è difficile immaginare che un altro aspetto che troverà maggiore diffusione sarà la personalizzazione, applicata ad ogni step della filiera. Per citare alcuni esempi, ogni giorno, ciascuno di noi si ritrova sul proprio schermo pubblicità selezionate in base a quello che ha visualizzato o ricercato in Internet negli ultimi giorni. Contemporaneamente, alcuni grandi retailer stanno testando nuovi metodi di produzione, basati su processi di Intelligenza Artificiale, capaci di registrare le preferenze dei propri utenti e di analizzarle per realizzare una collezione che risponda alle loro aspettative. Come accade anche per alcuni beauty brand che offrono make-up in sfumature di colore personalizzate. Sono tutti casi che mettono al centro il consumatore e i suoi desideri ma che hanno un rovescio della medaglia alquanto controverso. Quali e quanti dati siamo disponibili a condividere con le aziende per far sì che possano offrirci un prodotto e un servizio in linea con quello che vogliamo?
Queste sono, secondo noi, le 5 keyword strategiche intorno alle quali ruoteranno il dibattito e i progetti delle aziende di moda, lusso, cosmetica e lifestyle nel 2020. Siamo curiosi di sapere come si evolveranno queste tematiche e se, nel corso dell’anno, ne emergeranno delle altre. Staremo a vedere.